Passa ai contenuti principali

La montagna italiana al bivio: é possibile uno sviluppo sostenibile del turismo?

Anche l'estate 2022 è stata una stagione molto difficile dal punto di vista ambientale per importanti aree delle Alpi italiane. Si pensi alla Val di Fassa, che ha visto in sequenza prima la frana del 3 luglio dal ghiacciaio della Marmolada (che oltre agli incalcolabili danni ambientali ha provocato ben 11 vittime),

poi l'alluvione del 5 agosto, che ha portato in valle fiumi di fango e detriti, 

Qui si vede chiaramente il percorso del fiume di acqua e fango precipitato a valle il 5 agosto 

e infine il crollo dalla cima Uomo di alcune centinaia di metri cubi di roccia.

Ma purtroppo non sono queste le uniche emergenze ambientali della splendida valle incastonata ai piedi della Marmolada: dopo la devastazione operata dalla tempesta Vaia nel 2018, con milioni di alberi sradicati, è apparso nuovamente  nei boschi il temuto parassita "bostrico tipografo (Ips typographus)", che colonizza la pianta e in breve tempo la dissecca completamente, e che rischia di decimare la già sofferente popolazione di abeti rossi che vivono sulle pendici dei monti.

In questa immagine si vedono i danni congiunti della tempesta Vaia e del parassita Bostrico

Di fronte a questa situazione ci si domanda cosa possano fare, ammesso che possano fare qualcosa, le comunità montane per evitare che questi disastri naturali avvengano"? La prima risposta è che sicuramente anche le comunità locali, nel contesto di interventi a più larga scala nazionale ed europea, potrebbero fare qualcosa per proteggere meglio le loro montagne.

Infatti, i danni causati dall'alluvione di agosto sono conseguenza, oltre che del generalizzato “cambiamento climatico” anche di una situazione di crisi della montagna locale: l’acqua caduta dal cielo in quantità molto elevata e in breve tempo (quella che con una non corretta espressione i giornali definiscono “bomba d’acqua”) ha trovato un suolo poco umido e meno alberi che ne frenassero la discesa impetuosa a valle. Le grandi chiazze nel bosco, dovute sì alla tempesta Vaia e al Bostrico, ma anche alle ampie superfici aperte per la costruzione di impianti di risalita e piste per lo sci, o alla costruzione di nuovi edifici a quote sempre più alte, hanno consentito alla pioggia di incanalarsi e di precipitar a valle con violenza, portandosi dietro fango e sassi. E infatti nelle aree dove il bosco é più compatto si sono registrati meno danni.

Innanzitutto, secondo noi, le comunità locali potrebbero e dovrebbero ripensare il modello di sviluppo turistico, che rappresenta la principale fonte di reddito per le valli montane, in un piano di vero ed effettivo sviluppo sostenibile del turismo.

Oggi ad esempio il proliferare di impianti di risalita, indispensabili per placare gli appetiti dei milioni di turisti che affollano le montagne in inverno (ma anche in estate) sembra sempre meno compatibile con un modello di montagna sostenibile. Così come il robusto sviluppo edilizio, che è facilmente verificabile da chiunque percorra le valli alpine a forte vocazione turistica, difficilmente sembra conciliabile con una "montagna sostenibile".

Tanti impianti significano tanti turisti (spesso concentrati in periodi specifici. La montagna “lavora” con i turisti circa otto mesi all’anno, con una particolare concentrazione in sole quindici settimane), tanto traffico automobilistico (con conseguente inquinamento dell'aria e occupazione degli spazi nei parcheggi sempre più estesi), tante persone che raggiungono luoghi fino ad oggi raggiungibili solo a piedi, tante stanze per ospitarli (hotel, B&B, garnì, appartamenti in affitto o in vendita, rifugi in quota che in alcuni casi sono oggi dei veri hotel...). Tanti o...troppi?



E poi tutte le attività legate alla "supply chain" a favore di questa massa di persone: negozi, supermercati, servizi, furgoni che portano merci, gestione dei rifiuti...: ingolfano le valli e in alcuni momenti sembrano quasi soffocarle.

Sembra quasi che nelle valli alpine, o meglio, in alcune valli alpine, si stia creando un ecosistema cittadino basato su traffico, parcheggi, negozi, con l’unica differenza che questo è incastonato tra le montagne.

Eppure l'Agenda 2030 dell'ONU, Obiettivo 8.9, impone agli Stati firmatari (e l'Italia lo è) di "elaborare e attuare politiche volte a promuovere il turismo sostenibile, che crei posti di lavoro e promuova la cultura e i prodotti locali"

Forse si potrebbe cominciare ad educare i turisti, spiegando loro che la vita in città è molto diversa da quella in montagna, e non solo per l’abbigliamento. Bisogna iniziare a respingere le richieste di chi vuole arrivare in automobile fin sotto le vette o all’attacco dei sentieri. Evitare di catapultare con impianti sempre più capienti e veloci centinaia di turisti ogni ora a 2000 metri di quota, consentendo peraltro a persone impreparate di incorrere in situazioni di pericolo. Alcuni arrivi in quota di impianti oggi sembrano piazze di città, con locali, ristoranti, musica e affollamento. Evitare, come già avviene in alcuni comuni più sensibili dell’Alto Adige, di concedere generosi permessi di ristrutturazione edilizia, che trasformano vecchi fienili o stalle in moderne strutture di ospitalità, o peggio, autorizzare vere e proprie lottizzazioni edilizie.

Ovviamente non spetta a noi suggerire programmi o politiche alle amministrazioni locali, ma non possiamo fare a meno di rilevare che la strada attuale è pericolosa per la montagna ed i suoi abitanti, molto pericolosa, e che rischia, dopo aver garantito qualche decennio di benessere economico, di desertificare un territorio unico al mondo. E se la montagna dovesse diventare brulla e spoglia, siamo sicuri che i turisti vorranno ancora frequentarla?


 Tutte le foto documentano la situazione dei luoghi nell’agosto 2022


Commenti

Post popolari in questo blog

L'arco e la via di Tiradiavoli. E' pericoloso passarci?

Lo sapete che a Roma esiste una via che si chiamava “via Tiradiavoli”? E che su questa via passa un arco chiamato “arco Tiradiavoli”? E che molti di noi la percorrono ogni giorno senza saperlo? E sarà pericoloso questo passaggio? Fermi tutti, innanzitutto spieghiamo dove siamo: ci troviamo su via Aurelia (antica) nel tratto che fiancheggia da un lato Villa Pamphili e dall’altro il giardino di Villa Abamelek, la residenza romana dell’ambasciatore russo a Roma. Il posto è questo che vedete qui nella foto   Ma perché il popolo romano chiamava questa via, e l’arco, che la sovrasta, “Tiradiavoli”?  Una possibilità riguarda la figura della celeberrima Olimpia Maidalchini Pamphili, la celebre “Pimpaccia” a cui è anche intitolata una via qui vicino, Via di Donna Olimpia.  Questa donna, spregiudicata e abile, grazie alle sue capacità fu potentissima durante il pontificato di Innocenzo X, nella prima metà del 17° secolo. Questa sua avidità di denaro e potere la resero temuta e odiata dal popolo

Di che colore erano le città del medioevo?

Spesso, visitando le splendide città medioevali italiane, maturiamo la convinzione che esse fossero molto austere, nelle forme e nel colore. Le mura, le case, le torri, le cattedrali ci appaiono oggi nei colori della pietra, anche scurita dal passare del tempo. E invece sbagliamo. Dobbiamo dire grazie ad artisti come Benozzo Gozzoli e Giotto se oggi sappiamo con certezza che le città medioevali erano delle vere e proprie "follie cromatiche " ( cit.  Philippe Daverio ). Ad esempio Arezzo, nel quadro di Benozzo Gozzoli, era così all'epoca di S. Francesco, con facciate delle case rosso vivo o blu intenso: E anche Giotto ci ha lasciato una sua immagine di Arezzo sgargiante nei suoi colori: Ma anche le grandi cattedrali gotiche (aggettivo che oggi usiamo per indicare realtà austere, essenziali) del nord Europa dovevano essere tutt'altro che grigie. Ad esempio, questa è la facciata della cattedrale di Limburg an der Lahn, in Germania, 70 km a nord di Francoforte,

La storia infinita dell'ex residence Bravetta

Il Corriere della Sera del 28 maggio dà notizia della condanna di Barbara Mezzaroma a 23 mesi di reclusione per aver demolito un palazzo nell’ex residence Bravetta, senza averne il permesso. La contestazione mossa all’amministratrice delegata di Impreme è di abuso in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in violazione del testo unico sull’edilizia e del codice dei beni culturali e del paesaggio. La demolizione è avvenuta tra il 2015 e il 2017, mentre il Comune nel 2007 si era accordato con il gruppo Mezzaroma per la riqualificazione del residence, realizzato negli anni Settanta. Quello che a noi abitanti del quartiere risulta difficile da comprendere è il contenuto della decisione del giudici. Il giudice ha infatti stabilito che la Mezzaroma dovrà ricostruire l’immobile e pagare un risarcimento danni al Comune pari a 70 mila euro. Condizione questa cui è sottoposta la sospensione della pena. La domanda che noi ci poniamo è "ma il giudice ha presente cosa sia l