Una settimana di assenza dal blog è tanta, ma ogni volta che aprivo la pagina per postare qualcosa mi veniva lo scoraggiamento: troppi i pensieri negativi e le amarezze generate dalla campagna elettorale, troppi gli "sfondoni" ascoltati per poter fare dell'ironia o anche solo della cronaca. Chiedo scusa, ma non ho avuto l'energia per riportare tutte le notizie e le riflessioni che mi sono scaturite durante quest'ultima settimana.
E per sopperire allo scoramento mi avvalgo del contributo di Vittorio Zucconi, direttore di "Repubblica.it" che oggi, in una risposta alla lettera di una lettrice, sintetizza magistralmente il suo giudizio sulla nostra attuale situazione:
"...Mentre leggo le lettere degli amici (quelli che scrivono sono tutti amici, perché chi si prenda la pena di scrivere anche insulti testimonia la propria amicizia) sono le otto di sera, nella Roma di giovedì 10 aprile. Dalle finestre aperte della casa che comprai 31 anni or sono per pochi soldi (qualche volta ci si prende) e dalla quale uscii una mattina trafelato e con il cuore in bocca per correre con i colleghi della "Stampa" in via Fani a vedere cinque cadaveri di italiani crivellati da orrendi imbecilli armati, arrivano lontane ma ben udibli le note melense dell'inno di Forza Italia. Lo stanno eseguendo a tutti watt per chiudere il discorso del Capo e dei suoi attuali accessori politici, sul palco eretto davanti al Colosseo, in fondo a quella via dei Fori Imperiali che fu aperta e spianata con le ruspe da un altro Capo. I sondaggi che non dovremmo conoscere dicono che Lui sarà il vincitore di queste elezioni, se non si romperanno miracolosamente le acque degli indecisi e degli astensionisti. E la sua musica da spot di merendine, questo coretto sintetico come una parrucca, si espande sul centro della città e la inonda come una libecciata di saccarina. Fu per questo, per l'apoteosi di un cuore di panna, che i nostri padri rischiarono la vita tra la guerra nera e la guerriglia rossa e le nostre madri sgobbarono come somare tra le rovine create da un altro Capo che si credeva investito dal destino? Per insegnare ai bambini nei futuri sillabari che i mafiosi sono eroi e i partigiani sono criminali? Dove abbiamo sbagliato noi, i loro figli, che abbiamo consegnato l'Italia a questa Waterloo (quella vera) dello spirito, al trionfo del nulla purché sia fritto e confezionato come il fast food? Troppe automobili? Troppe lauree inutili sfornate da università proliferate e trasformate in laureifici per sicuri frustrati? Troppi posti sicuri e inutili aggrappati alla mammella del tesoro pubblico, nel segno del "tu fingi di lavorare che io fingo di pagarti"? Troppo Sessatotto? Troppo poco? Troppo cinismo? Troppe parrocchie politiche, sindacali, amministrative, finanziarie, editoriali, giornalistiche, familiste? Troppo cinismo? Troppa furbescheria? Troppa paraculaggine? Troppa ingenuità? Il coretto degli angeli artificiali continua, si allarga sulla Roma che si credeva imperiale. Ti culla rassicurante come un valium, ti ammicca compiacente come una battona. Tristissimo, nel languore e nel vuoto che ti lascia dentro, quando finisce, lasciandoci a contemplare l'orologio fermo di fiamme, falci, fasci, martelli, aborto e immutabili vecchietti..."
E per sopperire allo scoramento mi avvalgo del contributo di Vittorio Zucconi, direttore di "Repubblica.it" che oggi, in una risposta alla lettera di una lettrice, sintetizza magistralmente il suo giudizio sulla nostra attuale situazione:
"...Mentre leggo le lettere degli amici (quelli che scrivono sono tutti amici, perché chi si prenda la pena di scrivere anche insulti testimonia la propria amicizia) sono le otto di sera, nella Roma di giovedì 10 aprile. Dalle finestre aperte della casa che comprai 31 anni or sono per pochi soldi (qualche volta ci si prende) e dalla quale uscii una mattina trafelato e con il cuore in bocca per correre con i colleghi della "Stampa" in via Fani a vedere cinque cadaveri di italiani crivellati da orrendi imbecilli armati, arrivano lontane ma ben udibli le note melense dell'inno di Forza Italia. Lo stanno eseguendo a tutti watt per chiudere il discorso del Capo e dei suoi attuali accessori politici, sul palco eretto davanti al Colosseo, in fondo a quella via dei Fori Imperiali che fu aperta e spianata con le ruspe da un altro Capo. I sondaggi che non dovremmo conoscere dicono che Lui sarà il vincitore di queste elezioni, se non si romperanno miracolosamente le acque degli indecisi e degli astensionisti. E la sua musica da spot di merendine, questo coretto sintetico come una parrucca, si espande sul centro della città e la inonda come una libecciata di saccarina. Fu per questo, per l'apoteosi di un cuore di panna, che i nostri padri rischiarono la vita tra la guerra nera e la guerriglia rossa e le nostre madri sgobbarono come somare tra le rovine create da un altro Capo che si credeva investito dal destino? Per insegnare ai bambini nei futuri sillabari che i mafiosi sono eroi e i partigiani sono criminali? Dove abbiamo sbagliato noi, i loro figli, che abbiamo consegnato l'Italia a questa Waterloo (quella vera) dello spirito, al trionfo del nulla purché sia fritto e confezionato come il fast food? Troppe automobili? Troppe lauree inutili sfornate da università proliferate e trasformate in laureifici per sicuri frustrati? Troppi posti sicuri e inutili aggrappati alla mammella del tesoro pubblico, nel segno del "tu fingi di lavorare che io fingo di pagarti"? Troppo Sessatotto? Troppo poco? Troppo cinismo? Troppe parrocchie politiche, sindacali, amministrative, finanziarie, editoriali, giornalistiche, familiste? Troppo cinismo? Troppa furbescheria? Troppa paraculaggine? Troppa ingenuità? Il coretto degli angeli artificiali continua, si allarga sulla Roma che si credeva imperiale. Ti culla rassicurante come un valium, ti ammicca compiacente come una battona. Tristissimo, nel languore e nel vuoto che ti lascia dentro, quando finisce, lasciandoci a contemplare l'orologio fermo di fiamme, falci, fasci, martelli, aborto e immutabili vecchietti..."
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