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SONO UNA DONNA AFGANA. VI PREGO, AIUTATEMI A FUGGIRE!

Please help us move from Afghanistan to a safe country”. Il 27 settembre sullo schermo del computer di un'associazione di volontariato italiana, in una casella email utilizzata per richiedere informazioni logistiche, appaiono queste poche parole scritte in un inglese elementare. Chi scrive? Perché vuole fuggire dall’Afghanistan? 

Per capire cosa stesse accadendo torniamo indietro con la memoria a quei giorni drammatici e convulsi di agosto 2021. 
I talebani il 16 agosto prendono il controllo della capitale dell’Afghanistan, Kabul, e tornano, dopo venti anni, a comandare sul paese. Sono ore tremende: chiunque abbia avuto contatti con il “mondo occidentale” è in pericolo di vita. Chiunque abbia sostenuto cause di emancipazione e promozione sociale è in pericolo di vita. 

Aisha (nome di fantasia) è una giovane maestra elementare, vive in una città a nord del paese ed è un’attivista dei movimenti per l’emancipazione femminile. Suo marito, Rashid (anche questo è nome di fantasia) è un funzionario di banca. Laureato in India in economia, aveva lavorato in banca fino a quel drammatico momento. Pochi giorni dopo l’arrivo dei talebani il suo “capo” lo convoca e lo informa che è stato licenziato e che il suo posto verrà preso da un talebano. Aisha è terrorizzata, e ha ragione. Come scrive lei “i Talebani negano ogni diritto umano alle donne”. Figuriamoci ad una maestra e attivista di un movimento di difesa dei diritti delle donne. Viene minacciata, più volte, da chi ricorda bene il suo impegno sociale. Lei sa bene che questi messaggi non sono solo parole e deve prendere una decisione drammatica: fuggire subito con suo marito per non rischiare di essere catturata e giustiziata. Inizia un periodo fatto di fughe notturne, ospitati da parenti e amici riluttanti perché consapevoli del pericolo che corrono. È Aisha a dirci che “per settimane abbiamo vissuto da migranti clandestini nel nostro paese”. Su un vecchio telefonino Aisha segue qualche chat per capire cosa il mondo sappia di quello che sta accadendo nel suo paese. E così scopre che qualcuno proprio in quei giorni nel mondo sta lottando per la libertà delle donne afghane al grido di #AfghanWomenExist. 


Aisha, a differenza di Rashid, conosce poco l’inglese, ma è determinata come solo le donne sanno essere. Legge questo hashtag a favore delle donne afghane, cerca chi lo ha promosso, prova a capire, trova un indirizzo email di informazioni e scrive. Poche parole, disperate “Please help us move from Afghanistan to a safe country.” La volontaria che legge queste dieci parole rimane interdetta, chiede aiuto ad altre volontarie. Capiscono che la situazione è drammatica e decidono di provare ad aiutare questa donna. Ma come? Aisha è braccata, non può esporsi, non può farsi identificare, non può chiedere aiuto a Kabul, anche perché i paesi occidentali hanno chiuso le loro sedi diplomatiche. In Italia i volontari si organizzano: il compito di salvare Aisha e il marito è affidato proprio a due donne italiane, due avvocate esperte di immigrazione, che si mettono in contatto con il consolato italiano di Islamabad, in Pakistan. I funzionari sono molto comprensivi, ma devono attenersi alle indicazioni ricevute da Roma e devono respingere la richiesta del visto per motivi umanitari. Aisha intanto è sempre più terrorizzata. Le settimane passano, i soldi risparmiati negli anni stanno finendo e si succedono le notizie di arresti di massa. Vede andare in frantumi anni di lavoro a favore delle donne, viste dai talebani solo come procreatrici, senza diritti sociali. Sa che la sua vita è in pericolo e scrive continuamente alle due avvocate che non ha mai visto, implorandole di fare presto. Le due avvocate italiane sono determinate quanto la loro nuova amica afghana, non demordono e continuano a bussare a tutte le porte in Italia, senza lasciare nulla di intentato. E qualcosa alla fine si muove: il consolato italiano a Islamabad le chiama: “Possiamo rilasciare il visto. Ma la signora e suo marito devono venire a Islamabad”. Sono ore frenetiche. Il sistema di trasporti in Afghanistan non esiste più, e viaggiare significa correre pericoli gravissimi. Aisha e Rashid devono decidere cosa fare. Danno fondo ai pochi risparmi rimasti e pagano un passaggio in Pakistan con un convoglio di “trafficanti”. Arrivano in Pakistan e riescono a raggiungere il consolato italiano. I funzionari sono gentilissimi e sbrigano in poche ore tutti gli adempimenti necessari per dare loro il visto. Ora i due devono trovare un biglietto aereo, e nella loro condizione sembra un’impresa disperata. Ma in questi luoghi tutto si può comprare e dopo settimane di promesse, arriva il biglietto per l’Italia. La partenza è drammatica: le autorità pakistane in aeroporto non vogliono far partire la coppia perché non ha un biglietto di ritorno, ma Aisha a questo punto, anche se spossata dalla fatica, dalla paura, dalle notti insonni, riesce ad imporsi e con la sua immensa energia convince l’ufficiale pakistano a lasciarli andare. 

Eccola, dopo quasi venti ore di viaggio fra volo e scali interminabili, all’arrivo in Italia con il marito. Anche qui le autorità dell’immigrazione sono molto scrupolose, ma ultimati tutti i controlli, aprono il tornello del varco doganale. Aisha e Rashid sono sul suolo italiano. E ora nella sala arrivi dell’aeroporto c’è un gruppetto di persone abbracciate, in lacrime dirotte: Aisha, Rashid, le due avvocate, le volontarie che negli ultimi giorni sono state in contatto con la coppia senza interruzione per sostenerli e supportarli nell’ultimo miglio del viaggio. Piangono tutti, abbracciati. I volti stravolti dalla fatica, dall’emozione, dalla gioia ma anche dalla preoccupazione. Oggi comincia un’altra vita per Aisha e Rashid. Anzi, si ricomincia da capo. Nuova lingua, nuove abitudini, nuovo cibo, nuovi posti. Adesso sono al sicuro, ospiti di chi può offrire loro assistenza e calore umano. Ma nel futuro ci sono due vite da ricostruire, lavori da ritrovare, relazioni da costruire. Con una certezza però: che il coraggio, la forza, la passione di Aisha li sosterranno sempre. Una storia tutta al femminile, finita bene grazie proprio alla caparbietà, alla forza, alla passione di donne che si sono messe in rete e hanno superato ostacoli enormi per raggiungere il loro obiettivo. Un esempio per tutti noi.

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