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Sacinomachìa Eroica

Dal Patron ricevo:


Miei diletti faticatori,

visto e considerato che la Meta Sudans non ha il becco d’un quattrino, per tributare il meritato omaggio ai vostri eroici pedalamenti in terra toscana, durante l’ultimo fine settimana non ho trovato di meglio che ricorrere ai gratuiti servizi del mio erudito ( ma ahimè neghittoso) collaboratore Guglielmino Maria Crollalanza (CMG per chi ama gli acronimi), poeta aulico screditato (pardon, accreditato) presso le corti più prestigiose dell’Africa Subsahariana.
Costui, corto di vista ma svelto di penna, è autore fra l’altro della celebre lirica “Teniss’ cient’ lire”, studiata nelle scuole di ogni ordine e grado del regno delle Due Sicilie. Colgo l’occasione per rammentarvi che il povero CMG è momentaneamente disoccupato e langue nel più disperato bisogno, oppresso dalla preoccupazione per il mantenimento delle sue diciassette consorti (e vi lascio soltanto immaginare il seguito di suocere e figli che egli si trova a dover amorevolmente accudire). Ogni pur minimo contributo che la vostra soccorrevole munificenza dovesse voler destinare ad alleviare le ambasce del Crollalanza potrà essere versato direttamente al sottoscritto (che provvederà poi a inoltrargli la somma raccolta - trattenendo per sé un modestissimo rimborso per l’incomodo - sul conto a lui cointestato presso la Guarinon’s Bank di Pope’s Rock, Aruba).
Ecco dunque, miei generosi sudanti, il frutto della sua vena. Noterete la particolarissima metrica in doppi decametri sbilenco-guarinoniani a rima semi-alternata adottata dall’Autore (esempio unico nel pur variegatissimo universo dei poetastri della domenica).
Il vostro patron.

Sacinomachìa eroica

Dell’Eroica le dure salite / percorreste con fiera baldanza
con il petto rigonfio d’orgoglio / e lo stemma di SACE sul cor!
I garretti a ritmar muscolosi / sui pedali la mistica danza,
arrivaste a Gaiòle nel Chianti / infiammati di speme e d’amor.

Già in partenza un protervo giurato / decimò lo squadrone possente
applicando l’infami sue norme /all’indomito vecchio Cerino
che schiumando di rabbia dovette / sottostare al sopruso evidente.
Ma pur privo del numero ambìto / la sua mèta raggiunse, il tapino.

La certezza del nostro ideale / lo sostenne nel duro momento.
Strinse i denti, la pancia ed i pugni / sul manubrio di ruvido acciaio.
Disse “Ohibò! Vincerò, me lo sento, / questo duro e truccato cimento!”,
e partì quale giovin stambecco /su per l’erta d’un bianco nevaio.

Ei scorgea di lontano la maglia / di Giancarlo suo gran capitano
Che schivando le gocce di pioggia / procedea come fulmine ratto,
e tergeva con gesto veloce / ogni schizzo di fango villano
si posasse a turbare il nitore / del telaio sì caro al suo tatto.

Sabatini! La musa m’impone / di cantar le tue mitiche gesta.
Tu che insonne studioso di ruote, / iniziasti all’eroico pedale
riluttanti ed ignavi sacini / che scotendo, dapprima, la testa
si convinsero infine a seguirti / sulle vie d’un destino fatale.

Solo tu dalla rupe inviolata / del tuo sogno d’eterno ragazzo
li potevi strappare alla noia /del tran tran sì mortifero e mesto
d’una vita di duro servaggio / in quel cupo ed antico palazzo,
ove anchìlosi presto s’apprende / alle stanche giunture… ed al resto.


Ma neppure l’eroico Giancarlo, / nonostante l’enorme sua fede,
una tale ciurmaglia poteva / trascinare sull’ali del vento:
fu l’Antonio Massoli Taddei, / ché il destino benigno provvede,
a incitare con fulgido esempio / i colleghi dall’animo spento.

Inforcata l’antica sua Bianchi, / s’involò verso gli erti dirupi:
i polpacci d’acciaio tornito / saettando emettevano suoni,
nel suo petto di bronzo brunito / i polmoni rombavano cupi,
anco i peli dell’ispido grugno / rosseggiavano a mo’ di tizzoni.

Ed il pubblico attonito accorso / a mirare l’impresa del nostro
non vedé che una macchia rubizza /scomparire lontano lontano.
Una nuvola rossa, un ciclone,/ ma che dico, un autentico mostro!
Troppo rapido fu quel passaggio / p’esser colto da occhio d’umano.

Percepita fu invece la grazia / della figlia del rosso campione,
una fresca fanciulla d’aspetto, / ma più tosta d’un rude sergente,
che del padre seguiva le orme / sulle vie dell’eroica tenzone
ed al povero Carlo arrancante…/ non faceva capire più niente.

Diligente difatti seguiva / Magistrelli sul fido suo mezzo
ma lo sguardo spostar non poteva / dalle forme leggiadre di Chiara.
Non s’accorse, perduto nel sogno, / che la corsa era chiusa da un pezzo,
e ricorso, tre ore più tardi, / lo destò un commissario di gara.

Musa, tu che di ciò sai la cagion / – come diceva quello - tu la mi detta!
Quale dea suggerì ai Sabatini, / ai Massoli ed ai loro affiliati
ignorando l’anagrafe empia, / d’impegnarsi a scalare ogni vetta
e percorrere l’aspri sentieri /di quei colli dai Toschi abitati?


Un maligno sospetto mi rode, / da quel vecchio bilioso che sono:
non sarà che svaniti gli ormoni / di quel tempo felice che fu
i vecchietti ripiegano mesti / su quel poco che resta di buono?
Pedalando si scordano, insomma, / dei piacer che non godono più.

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