Oggi, 10 settembre, si tiene la Giornata Mondiale per la Prevenzione al Suicidio, iniziativa dell’associazione internazionale per la prevenzione al suicidio (IASP) organizzata in collaborazione con l'Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization-WHO). Il tema principale del 2008 è “Pensare globalmente, organizzare nazionalmente, agire localmente”.
Questo tema è un’opportunità per tutti i settori della comunità: il pubblico, le associazioni a scopo benefico, le comunità, i ricercatori, i clinici, i medici di base, i politici, i volontari e tutti coloro che hanno a avuto a che fare con il suicidio, di entrare in contatto con IASP e con WHO e di indirizzare, nella Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, l’attenzione pubblica sul tema e mettano in primo piano delle attività di prevenzione efficaci.
Il tema mi è poco familiare e quando mi capita di incrociarlo, vigliaccamente, cerco di cambiare strada. Oggi però non voglio allontanarmi, voglio ricordare quello che successe tanti anni fa, quando vissi di riflesso, ma da vicino, una vicenda di un tentato suicidio: Marina, una mia compagna di classe, di 17 anni, perse il gusto della vita, e una notte, a casa, si impasticcò. La salvò il papà, che alzatosi nella notte, la trovò rantolante per terra. La fortuna fu che abitava a pochi passi dall'ospedale, dove le praticarono immediatamente tutte le cure. Quando la vidi, dopo un paio di giorni, era dietro un vetro, in una camera di rianimazione. La mamma mi si avvicinò e mi disse una sola parola "perché?". Non risposi, la guardai con uno sguardo vuoto, assente, che ammetteva la mia totale impossibilità di darle qualche risposta. Già, perché? Mi resi conto che di Marina sapevo poco, forse niente. Sì, era una compagna di classe, qualche volta bisticciavamo per motivi ideologici, altre volte solidarizzavamo, ci passavamo i compiti, facevamo comunella nelle poche ore di scuola e poi ognuno per la sua strada. Io la vedevo già grande, donna, con tanti ragazzi "grandi" che le giravano intorno, alle prese con problemi e argomenti che a me sembravano ancora lontani. Perché, Marina, cercasti di andartene nel cuore di una notte romana? Non te lo chiesi mai, non ne ebbi il coraggio. Fu un amore mancato, un'incomprensione a casa, un abisso di tristezza come solo a 17 anni si prova? Chi lo sa, provai a capire, ma come sempre, con te non ci capii niente. Oggi so (me l'ha detto Antonella, un'altra compagna della nostra classe che dopo decenni ho casualmente incontrato) che sei una donna grande, hai una tua vita, piena di tutto quello che riempie la vita: lavoro, gioie, amori, lutti, tristezze, delusioni... Forse dentro hai ancora la tua energia, la tua voglia di far polemica su tutto, le tue idee su un mondo che sarebbe dovuto cambiare in meglio e che invece forse è solo peggiorato, o forse non l'hai mai avute e quel gesto a te era sembrato un modo per dircelo.
Non lo so, ma stasera (anche se non ti vedo da oltre 30 anni) sono contento che ancora ci sei.
Questo tema è un’opportunità per tutti i settori della comunità: il pubblico, le associazioni a scopo benefico, le comunità, i ricercatori, i clinici, i medici di base, i politici, i volontari e tutti coloro che hanno a avuto a che fare con il suicidio, di entrare in contatto con IASP e con WHO e di indirizzare, nella Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, l’attenzione pubblica sul tema e mettano in primo piano delle attività di prevenzione efficaci.
Il tema mi è poco familiare e quando mi capita di incrociarlo, vigliaccamente, cerco di cambiare strada. Oggi però non voglio allontanarmi, voglio ricordare quello che successe tanti anni fa, quando vissi di riflesso, ma da vicino, una vicenda di un tentato suicidio: Marina, una mia compagna di classe, di 17 anni, perse il gusto della vita, e una notte, a casa, si impasticcò. La salvò il papà, che alzatosi nella notte, la trovò rantolante per terra. La fortuna fu che abitava a pochi passi dall'ospedale, dove le praticarono immediatamente tutte le cure. Quando la vidi, dopo un paio di giorni, era dietro un vetro, in una camera di rianimazione. La mamma mi si avvicinò e mi disse una sola parola "perché?". Non risposi, la guardai con uno sguardo vuoto, assente, che ammetteva la mia totale impossibilità di darle qualche risposta. Già, perché? Mi resi conto che di Marina sapevo poco, forse niente. Sì, era una compagna di classe, qualche volta bisticciavamo per motivi ideologici, altre volte solidarizzavamo, ci passavamo i compiti, facevamo comunella nelle poche ore di scuola e poi ognuno per la sua strada. Io la vedevo già grande, donna, con tanti ragazzi "grandi" che le giravano intorno, alle prese con problemi e argomenti che a me sembravano ancora lontani. Perché, Marina, cercasti di andartene nel cuore di una notte romana? Non te lo chiesi mai, non ne ebbi il coraggio. Fu un amore mancato, un'incomprensione a casa, un abisso di tristezza come solo a 17 anni si prova? Chi lo sa, provai a capire, ma come sempre, con te non ci capii niente. Oggi so (me l'ha detto Antonella, un'altra compagna della nostra classe che dopo decenni ho casualmente incontrato) che sei una donna grande, hai una tua vita, piena di tutto quello che riempie la vita: lavoro, gioie, amori, lutti, tristezze, delusioni... Forse dentro hai ancora la tua energia, la tua voglia di far polemica su tutto, le tue idee su un mondo che sarebbe dovuto cambiare in meglio e che invece forse è solo peggiorato, o forse non l'hai mai avute e quel gesto a te era sembrato un modo per dircelo.
Non lo so, ma stasera (anche se non ti vedo da oltre 30 anni) sono contento che ancora ci sei.
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