Passa ai contenuti principali

CICATRICI

Concentrati 1 attimo e pensa a quante cicatrici hai sul tuo corpo. Alcune piccole, altre forse più lunghe, alcune ti accompagnano dall'infanzia, altre più recenti, ricordo definitivo di cadute, incidenti, interventi chirurgici.
Riflettici un secondo: che ricordi ti hanno lasciato dentro queste cicatrici? cosa rappresentano per te?
Sabato pomeriggio ho avuto la possibilità di riflettere sulle mie cicatrici (del corpo e dell'animo) durante l'anteprima di un cortometraggio dal titolo, appunto, "CICATRICI" prodotto dalla Infinity Entertainment, che sarà presentato prossimamente in alcuni concorsi internazionali.

La trama è semplice: due ragazzotti balordi della periferia romana, Alex e Marcello, progettano il salto nel giro grosso della malavita passando da pestaggi, furti, spaccio, a più fruttuose rapine. Discutono di questo in uno squallido giardinetto, mentre su una panchina vicina a loro un vecchio sembra addormentato sotto i raggi del sole. Il vecchio però si scuote alle loro parole, si intromette nel discorso e piano piano supera il muro della loro indifferenza ostile e li conquista, raccontando della sua vita di malavitoso. Ad un certo punto...il corto continua ed ha un finale originale, non scontato e non buonista.
Cicatrici come titolo perché sono proprio le cicatrici ad accendere il cortocircuito fra il vecchio ed i ragazzi, cicatrici segno di identità e di appartenenza, ma anche segno di dolori profondi e spunto di riflessione sulla vita.

In una breve sequenza Alex e Marcello devono superare un labirinto in un parco giochi.
Loro sono ancora sicuri, spavaldi, nienti li spaventa, in caso di bisogno sanno maneggiare "il pezzo" (al riguardo è da sottolineare la bravura degli sceneggiatori che hanno saputo rendere alla perfezione il linguaggio povero di vocaboli e ricco di metafore dei giovani della periferia romana), e il labirinto lo superano scavalcandolo, passandoci sopra. Chissà se alla fine del corto avranno ancora la stessa spavalderia.

Secondo me c'è anche un altro spunto di riflessione, su cui però credo che gli autori non concordino: sull'opportunità della cosidetta "bugia a fin di bene". E' utile, giusto, opportuno mentire, se è a fin di bene?

Ti consiglio di vedere questo corto profondo, intenso, struggente, violento nelle descrizioni delle vite ma tenero nella rappresentazione degli affetti, quando uscirà nei circuiti di distribuzione e di suggerirlo a genitori e figli, come pungolo ad una comune riflessione su come la vita può prendere una direzione piuttosto che un'altra in conseguenza di una cicatrice.

Commenti

Anonimo ha detto…
Ma dove si può vedere questo corto?
Lupin
paolo ha detto…
Come ho scritto nel post, a breve sarà presentato in alcuni importanti concorsi europei. Immagino che poi seguirà la normale via dei corti: pay tv, sale cinematografiche, prima della proiezione di film tradizionali. Non so invece se ne sarà realizzata una versione in DVD. Proverò ad informarmi

Post popolari in questo blog

L'arco e la via di Tiradiavoli. E' pericoloso passarci?

Lo sapete che a Roma esiste una via che si chiamava “via Tiradiavoli”? E che su questa via passa un arco chiamato “arco Tiradiavoli”? E che molti di noi la percorrono ogni giorno senza saperlo? E sarà pericoloso questo passaggio? Fermi tutti, innanzitutto spieghiamo dove siamo: ci troviamo su via Aurelia (antica) nel tratto che fiancheggia da un lato Villa Pamphili e dall’altro il giardino di Villa Abamelek, la residenza romana dell’ambasciatore russo a Roma. Il posto è questo che vedete qui nella foto   Ma perché il popolo romano chiamava questa via, e l’arco, che la sovrasta, “Tiradiavoli”?  Una possibilità riguarda la figura della celeberrima Olimpia Maidalchini Pamphili, la celebre “Pimpaccia” a cui è anche intitolata una via qui vicino, Via di Donna Olimpia.  Questa donna, spregiudicata e abile, grazie alle sue capacità fu potentissima durante il pontificato di Innocenzo X, nella prima metà del 17° secolo. Questa sua avidità di denaro e potere la resero temuta e odiata dal popolo

Di che colore erano le città del medioevo?

Spesso, visitando le splendide città medioevali italiane, maturiamo la convinzione che esse fossero molto austere, nelle forme e nel colore. Le mura, le case, le torri, le cattedrali ci appaiono oggi nei colori della pietra, anche scurita dal passare del tempo. E invece sbagliamo. Dobbiamo dire grazie ad artisti come Benozzo Gozzoli e Giotto se oggi sappiamo con certezza che le città medioevali erano delle vere e proprie "follie cromatiche " ( cit.  Philippe Daverio ). Ad esempio Arezzo, nel quadro di Benozzo Gozzoli, era così all'epoca di S. Francesco, con facciate delle case rosso vivo o blu intenso: E anche Giotto ci ha lasciato una sua immagine di Arezzo sgargiante nei suoi colori: Ma anche le grandi cattedrali gotiche (aggettivo che oggi usiamo per indicare realtà austere, essenziali) del nord Europa dovevano essere tutt'altro che grigie. Ad esempio, questa è la facciata della cattedrale di Limburg an der Lahn, in Germania, 70 km a nord di Francoforte,

Il Chopper di Alan Oakley e i miei sogni di ragazzino

È morto ieri a 85 anni Alan Oakley, l'uomo che nel 1967 progettò per la Raleigh uno dei più singolari e fortunati modelli di bicicletta, la "Chopper", che salvò dal fallimento la fabbrica inglese. Il primo esemplare della strana bici fu messo in vendita in Inghilterra nel settembre del 1969, ed uscì di produzione nel 1984 con il record di 1,5 milioni di pezzi venduti. Per noi adolescenti degli anni '70 la chopper era rivoluzionaria, con il suo sedile largo con lo schienale, il cambio con la leva come un'automobile, la ruota posteriore grande e quella anteriore piccolissima, il manubrio altissimo e ripiegato all'interno. Per noi ragazzi nati alla fine degli anni '50 la bici era solo quella pesante d'acciaio da corsa o da città, non c'era l'alluminio, al massimo l'olandesina, ma solo per le donne o per contadini emiliani. Ancora non erano nate le mountain bike e l'unica altra rivoluzionaria apparsa sulle strade era la Graziella